Valentina Diouf, campionessa di pallavolo della Nazionale e della LiuJo Modena, ha scritto insieme al giornalista Andrea Schiavon il libro “Quando sarai grande”, edito da Mondadori, che è stato presentato ieri alla Mondadori di Milano in occasione di BookCity 2015.
In “Quando sarai grande” Valentina Diouf racconta i suoi primi 22 anni di vita tra un'adolescenza complicata, i viaggi in Africa ed il rapporto con i suoi genitori, il confronto con le proprie origini senegalesi e l’esordio in maglia azzurra. Una ragazza solare, simpatica e con i piedi per terra. Un cammino che ha portato Valentina a essere una delle più forti schiacciatrici al mondo, con un futuro radioso ancora tutto da scrivere.
All’inizio del libro Valentina racconta di quando il suo corpo ha iniziato a crescere (è alta 2 metri e 02 e porta il numero 46 di scarpe) creandole non pochi problemi: “Mi ricordo che quando ero piccolina e andavo alle elementari mettevo le scarpe di mia mamma perché avevamo lo stesso numero, poi superato anche il suo numero c’è stato un momento di panico. Per fortuna ho trovato un negozio a Milano dove vendevano delle scarpe numero 46. Adesso compro le sneakers ma mi piacciono anche le scarpe col tacco e le ballerine. Ho fatto pace con i miei ricci e anche con i miei due metri e zero due, però ho passato anni a ingobbirmi nella foto, per sembrare un po' più bassa e confondermi all'interno del gruppo”.
Valentina Diouf è soprannominata “Fiocco di neve”: “E’ un soprannome che mi hanno dato quando ho giocato il primo anno a Bergamo. Non sono famosa per la mia agilità, così le mie compagne di squadra mi prendevano affettuosamente in giro dicendo: quando cadi sembri un fiocco di neve”.
A 15 anni e mezzo ha lasciato la casa della mamma ed è andata a vivere da sola a Roma per seguire la sua grande passione, la pallavolo: “Ho frequentato la scuola superiore in tre città diverse, a Milano, poi a Roma e poi a Bergamo. Il primo giorno di scuola è un trauma per tutti, io poi sono molto riservata. Quando mi sono trasferita a Roma ricordo che non capivo quello che dicevano, però tutto ciò mi ha aperto molto la mente. La mia giornata tipo era sveglia alle 6,45 per andare a scuola, poi pulmino, quando uscivamo volavamo in mensa, poi allenamento, tranne la domenica che avevamo la giornata libera e potevamo andare in centro. Ho sempre avuto paura di usare il motorino, mia mamma avrebbe voluto che lo usassi, ma a me non piaceva. La pallavolo è un po’ precaria, finchè rimaniamo sulla cresta dell’onda va bene ma ho cominciato a vedere questo sport come una professione quando sono andata via da casa. A Modena ho ritrovato la mia amica Floriana Bertone, ci siamo sempre confrontate, avendo entrambe il problema dell’altezza, era la mia compagna di stanza, con lei mi sono trovata sempre benissimo, ci siamo fatte chiamare le twin towers, abbiamo condiviso molte emozioni. Quando sono in ritiro o nel bel mezzo di una manifestazione non è facile tenere a bada la tensione e sorridere, la cosa migliore è vincere però mi basta pensare che sto facendo quello che amo per stare bene. Mi piace molto quando andiamo in trasferta con la Nazionale in Oriente. In Giappone ad esempio prendono dei bambini e li assegnano a una squadra dando loro gadget con tutti i colori della nazionale, quella diventa la loro squadra ufficiale e loro fanno un tifo pazzesco. E’ una cosa bellissima”.
In chiusura, sul suo futuro nella pallavolo Valentina ha detto: “Ammiro la longevità di certe atlete ma, al tempo stesso, capisco una ragazza come Federica Pellegrini, quando dice che dopo Rio vuole smettere...di una cosa sono certa: spero solo che siano la mia testa e il mio cuore a farmi smettere, non un corpo usurato e rattoppato che, semplicemente, non ce la più. Fino all'ultima partita dentro di me devo trovare la voglia e la forza di gettarmi su ogni pallone”.